GIANLUCA CORONA

GIANLUCA CORONA

dal 09 ottobre 1997 al 27 ottobre 1997

Libreria Bocca - Galleria Vittorio Emanuele II 12, 20121 Milano

Introducendo la mostra monografica di Gianluca Corona a Palazzo Farnese a Piacenza, dell’autunno del 2003, mi ero soffermato sui suoi ritratti, stupefacenti per la tecnica pittorica e la loro verosimiglianza al dato naturale, e sui suoi disegni, dove ritrovavo una tecnica disegnativa paragonabile a quella dei maestri antichi, nonostante che i suoi disegni sembrassero del tutto calati nel nostro tempo, e non solo perché i suoi personaggi appaiono ben vivi e tutti presi dalla vita reale o dal loro ruolo nella società contemporanea, ma anche perché il “filtro” con cui Corona guarda all’essere umano, ai bambini o alle signore della buona società, è quello che gli permette di vivisezionare ogni piega, ogni ruga o accidentalità per coglierne l’aspetto più intimo e segreto, per indagarne la psiche, prima ancora che il carattere. Questo atteggiamento, in cui un ruolo importante è svolto dall’intermediazione della fotografia, è manifestato ancor meglio dai ritratti dipinti, presentati con dovizia di varianti e di “tipi” nella mostra di Palazzo Farnese, che mancano invece in questa rassegna milanese. E’ tuttavia importante richiamarli, perché i temi offerti in questa esposizione si riagganciano molto bene al tema del ritratto, anche se si tratta qui di “nature morte”, dato che i ritratti, anzi, ne costituiscono forse la premessa imprescindibile. Quando si ricordasse che in molti dei ritratti di Corona l’uomo appare come vivisezionato, prima dalla macchina fotografica e poi dal pennello dell’artista, come se il fotografo-pittore-chirurgo abbia indagato col bisturi nelle carni del personaggio e nella sua indole, saremmo più preparati ad avvicinare i suoi dipinti raffiguranti, come appare in prima battuta, frutta e ortaggi. Avevo letto, allora, le nature morte di Gianluca Corona in una maniera anticonvenzionale, e forse “freudiana”, al punto che lo stesso artista mostrò di risultarne imbarazzato ( e forse sconvolto ). Mi sembra però che quella lettura cogliesse nel segno, almeno a giudicare dagli sviluppi successivi del lavoro di Corona, dove egli ha sviluppato sempre più alcuni di quei “grovigli” interiori insistendo proprio sugli aspetti che più si prestano ad una lettura psicologica e forse psicanalitica delle sue opere. Egli ha infatti intanto talmente ingrandito in alcuni suoi dipinti taluni frutti od ortaggi da fargli assumere un’iconicità emblematica, assegnandogli un ruolo che va molto oltre quello di una semplice frutta “in posa” e, tanto più, quello di semplice strumento per manifestare il suo virtuosismo e le sue capacità tecniche. Ha inoltre semplificato le ambientazioni, riducendo al minimo quegli elementi o quegli oggetti “esterni”, come alzate di cristallo o d’argento, panni di seta o altre stupidaggini del genere ( oggetti scelti per provare soltanto la sua abilità ottica e manuale nel campo della raffigurazione della luce, dei riflessi e delle variazioni tonali ) che, denunciando un’ambientazione “borghese”, venivano a mascherare le ragioni più profonde, e forse ignote a lui stesso, a causa delle quali egli aveva scelto, e sceglie, di raffigurare frutta deformi o verdure bitorzolute. Gli avevo suggerito ( ma ogni suggerimento “critico” viene spesso ignorato dagli artisti, anche se il tarlo rimane e lavora, col tempo, nella loro mente ) di sostituire a delle belle quanto insulse alzatine d’argento, dei barattoli di Coca-Cola o degli oggetti di plastica o di plexiglas, come per “datare” visivamente il suo lavoro. Era questo un suggerimento forse banale, e i risultati sarebbero stati certo non nuovi ( c’è una schiera di artisti che lo ha sperimentato e che continua a farlo ), di cui egli ha fatto volentieri a meno.

Gli è bastato concentrarsi sull’oggetto “frutto” od “ortaggio”, ridurre al minimo il contesto, semplificare ulteriormente la tavolozza cromatica e concentrarsi sui rapporti tra nero e giallo, o tra due o tre colori, per giungere a qualcosa di veramente più “contemporaneo”, perché totalmente proiettato dentro la sua psiche e la sua personalità, qualcosa che probabilmente rivela un suo disagio interiore, forse un’insoddisfazione, mascherata, all’esterno, dall’aria di giovane artista per bene che lavora per i rappresentanti di quelle classi borghesi, ignare di quel che si nasconde dentro il dipinto che con tanta devozione per l’incredibile maestria esecutiva che rivela, essi ( per sua fortuna ) volentieri acquistano.

Avevo già osservato che se le figure e i corpi dipinti da Corona possono aprire davanti ai nostri occhi anche l’abisso dell’esibizione e del lusso, e del compiacimento di sé, è nei “ritratti” di frutta e di ortaggi che Corona aggiunge veramente qualcosa di nuovo al genere impropriamente detto della “natura morta”, superando la pittura antica e moderna. Frutta e ortaggi vi appaiono infatti vivi, sensuali, quasi erotici persino. L’agghiacciante autodisciplina cui si sottopone l’artista nei ritratti disegnati e dipinti, cede forse inconsciamente, per un attimo, a una visione della natura in cui entra prepotentemente, e paradossalmente, anche una componente carnale, una sensualità sconosciuta ai personaggi umani. Più vivi e parlanti della galleria di ritratti dei nostri contemporanei, i “ritratti di frutta” ci parlano anche della personalità nascosta dell’artista e ci aiutano a decifrare il suo “io”. Camuffato da chirurgo plastico, Corona ha pur un’anima: le sue pere cotogne, sinfonie di gialli e neri ( ancora un paradosso: la pittura di Corona si avvicina qui al monocromo, mentre i disegni a matite nere rasentano la policromia ! ) sembrano a prima vista ricalcare il mondo intimo e segreto dei Paesi Bassi, ma hanno una prepotente fisicità alla Tommaso Salini o alla Tanzio da Varallo: fra le gibbosità e le rotondità delle frutta, si intravedono evocazioni di corpi femminili, cosce e natiche formose che celano interstizi e ricetti ombrosi. Non è un gioco all’Arcimboldo, è una dichiarazione d’intenti. E’ una fiducia nella natura e nella vita, è un desiderio d’esplorare mondi segreti e insondabili. E tanto più vive appaiono queste frutta grazie alle loro solide rotondità, che le loro malformazioni e i loro “difetti” ( come nella ormai famosa Mela cotogna o nelle Due pere cotogne del 2003, ora in fortunate collezioni private ) ci sembrano essenziali a definire il loro stato potenzialmente ( stavo per dire “virtualmente” ) vivo. Si dirà che questa è la frutta che si trovava a disposizione quel giorno sul banco del fruttivendolo tal dei tali da cui si serve il Corona. Non credo. Corona ha scelto queste frutta, con queste particolari forme, quelle che gli piacevano più di altre e nelle quali ha visto qualcosa. Qualcosa anche di sé, che normalmente non vuole rivelare. Questa sensazione di vitalità dirompente, segnalata dalle turgide tumefazioni, appare contraddire la scelta di mostrare le foglie avvizzite delle frutta, un pegno pagato a Caravaggio ( che abbiamo perdonato ). Ma bastava osservare la splendida Zucca ( 2003 ), incorniciata come un dipinto fiammingo ( ci sarebbero voluti inserti di tartaruga o di cristallo di rocca per agevolare il transfert mentale ), perché il pensiero tornasse a vagare attorno all’idea del corpo di una modella oscenamente in posa frontale, come nelle fotografie di moda, e al subconscio dell’artista. Ancora la fotografia dunque: un modo per fissare l’attimo fuggente, ma per poi scavare più addentro nelle forme, nelle loro pieghe, nei loro orifizi, quasi a penetrarle.

Le nuove opere qui presentate, quasi tutte realizzate tra il 2005 e il 2006, consentono di confermare questa ( forse irriverente ) lettura. Come non osservare che i due limoni raffigurati ne L’incontro sembrano personaggi colti nel momento in cui s’annusano e forse stanno per baciarsi? E il titolo, si badi bene, è stato messo da Corona stesso. Oppure si guardi meglio la straordinaria e nuova per cromia Zucca di fronte, appunto, messasi forse lei stessa “di fronte”, come per un ritratto umano. Che dire del Limone in posa ? Parla il titolo che gli ha dato Gianluca: si intende infatti che il limone possa decidere come meglio mettersi davanti all’obbiettivo del fotografo-pittore. E’ dunque da vedersi in questi “nuovi” titoli anche l’accettazione di una lettura, quale quella che si è tentata qui sopra, o il manifesto di una cosciente umanizzazione della natura fatto proprio e accettato dall’artista? Forse, ma non solo. Qui sta anche un progresso rispetto a quanto questi limoni sono in grado di evocare. A me non evocano tanto i versi indimenticabili di Eugenio Montale ( cui pure ama riferirsi il nostro Gianluca ), ma un mondo più sensuale e forse torbidamente più remoto, benché impastoiato col presente: un Seicento coniugato con un set cinematografico, o con una location per un fotografo di oggetti di design allestita in un loft di periferia, dove chissà quante cose accadono una volta finite le riprese. E se l’Astrozucca richiama banalmente un’astronave, un po’ accidentata e come arenatasi sulla spiaggia ( ma, allora: astronave o, ancora una volta, essere vivente ? come, per dire, una balena o un grosso cetaceo ? ), lascio volentieri ai visitatori di questa mostra di proseguire il gioco delle associazioni mentali ( e quello di scoprire anche qualche lato oscuro della nostra psiche ) guardando il Rametto di albicocche, frutti che, già di per sé, evocano dolcezza e peccato, come, appunto, nella pittura medievale e rinascimentale.

Ci sono artisti che, con coraggio, mettono tutti se stessi in gioco, esibendo il loro corpo e i loro drammi, o video installazioni o sequenze fotografiche che denunciano il malessere dell’uomo nella società contemporanea, o i gravi problemi che ci assillano quotidianamente. Le pitture di Corona sembrano, a prima vista, collocarsi fuori dal tempo e dallo spazio e offrirci una visione intimista e senza traumi del presente. Ma basta addentrarvicisi un poco, non lasciarsi ingannare dalla tecnica, per scoprirvi tanti altri significati ( proprio come accadeva nella pittura antica ) e, soprattutto, per ritrovarvi gli abissi dell’Io e, forse, di una parte di quelli in cui tutti tentiamo ogni giorno di non cadere. 

Pietro C. Marani


Gianluca Corona nasce a Milano nel 1969. Comincia a disegnare e a dipingere giovanissimo. Fin da subito dimostra passione per la grande pittura del ‘500 e ‘600 studiando e sperimentando gli antichi procedimenti tecnici. Nel 1991 si diploma in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Nel 1994 diventa allievo di Mario Donizetti. Dal 1997 la pittura diventa la sua professione distinguendosi nel panorama artistico nazionale come esponente della giovane figurazione italiana. Lavora principalmente nel campo della natura morta e del ritratto, Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, italiane e straniere. Diversi suoi dipinti sono stati scelti come copertine di una collana di compact disc di musica classica per l’etichetta Concerto– Musicmedia. Vive e lavora a Milano.

 

 


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